CONSIDERAZIONI SUI FATTI DI GENOVA
CONTRO LE “BOMBE D’ACQUA”, UNA SOLA PAROLA D’ORDINE : INVARIANZA IDRAULICA, PER LEGGE!
di Catello Masullo, ingegnere idraulico
e vice presidente di Inarsind Roma (sindacato ingegneri ed architetti liberi professionisti)
Roma 14 ottobre 2014
SOMMARIO CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
La
situazione idrogeologica di Genova è nota agli esperti da sempre. Il
tombamento dei molti corsi d’acqua che l’attraversano, unitamente alla
crescente impermeabilizzazione di aree sempre più vaste di territorio,
senza la applicazione della buona pratica della invarianza idraulica a
ciascun intervento, non poteva che dare i risultati che vediamo con
ricorrente frequenza. Si sono fatti tanti progetti per realizzare le
opere che possano correggere almeno una parte degli errori del passato.
Come ad esempio uno scolmatore del Feregiano. Una galleria di grandi
dimensioni di oltre sei km, di cui realizzato solo uno (oggi utilizzato
come garage per canoe : sigh!). Altri progetti si sono
arenati nei ricorsi al Tar e nei tagli di spesa. Gli ingegneri
idraulici, ed a Genova c’è una gloriosa scuola di ingegneri idraulici,
sanno perfettamente cosa fare per evitare di continuare a contare i
morti per strada nella capitale ligure. Che gli amministratori della
cosa pubblica li ascoltino, una volta tanto!
PREMESSE
Dopo
Genova, Sarno, Soverato, Gianpilieri, Scaletta Zanclea, ancora una
volta Genova. Cambia il nome, ma la tragedia è sempre la stessa.
Aggiorniamo la macabra contabilità dei morti a causa di quelle che i
media hanno battezzato “bombe d’acqua”. E, puntualmente, si ripete,
all’infinito, il lamento dei corifei. Da una parte ci si strappano le
vesti e si piangono le vittime e si fanno proclami della serie “mai
più!”, dall’altra si cade dalle nuvole, della serie “nessuno poteva
prevederlo, “evento senza precedenti”, “tragica fatalità”,
“inarrestabile furia degli elementi”, e così via cantilenando. E si
affidano , sempre, editoriali alle nostre migliori “penne” . Le quali
ripetono, a loro volta, sempre la stessa (corretta) solfa : “disastro
annunciato”. E poi, immancabile, spunta senza eccezione alcuna, questa
nuova figura professionale della quale pare non si possa fare a meno :
il “geologo televisivo”. A spiegarci che occorrono soldi, nuovi
stanziamenti, prevenzione. Ma possibile mai che a nessuno, dico a
nessuno, viene in mente di sentire gli ingegneri idraulici? Quella
particolare tipologia di tecnici che dedicano tutta la loro formazione e
tutta la loro vita professionale proprio a studiare le cause di questi
fenomeni ed a progettare le opere che sarebbero necessarie per evitare
queste tragedie? Possibile che nessuno parla di “invarianza idraulica”?
Spieghiamo
questo termine , che appare oscuro ai più (anche ai “geologi
televisivi”, apparentemente). Se, cioè, un determinato territorio, prima
di realizzare un intervento di trasformazione, produce una certa
quantità di acqua in occasione di determinate precipitazioni meteoriche,
dopo la trasformazione deve mantenere costante questa quantità di acqua
prodotta. Questo significa che, se si impermeabilizzano o disboscano
porzioni più o meno vaste di tale territorio, riducendo quindi le
naturali capacità di ritenzione idrica del terreno originario, è
necessario ed obbligatorio realizzare opere di cattura ed
immagazzinamento delle acque di pioggia intensa, per poi restituirle
alla natura solo successivamente allo scroscio di pioggia. In modo tale
da evitare ogni danno da alluvione. Realizzando quindi quello che gli
ingegneri idraulici definiscono la “laminazione delle piene” e la
conseguente “invarianza idraulica” di quell’intervento.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Che
il territorio italiano sia particolarmente fragile è testimoniato dal
fatto che il 68% circa delle frane in Europa avvengono nel nostro paese.
Siamo una “frana” nella prevenzione. In compenso siamo degli assi negli
interventi in emergenza ex-post. Abbiamo sviluppato la migliore
protezione civile del mondo. E tutti imparano da noi. Ma
tutto questo non è particolarmente efficiente. Perché, come numerosi
studi scientifici dimostrano, spendiamo somme spropositare per riparare i
danni post-evento, che si sarebbero potute evitare ove si fossero spese
somme di gran lunga inferiori in prevenzione (anche di 10 o 15 volte).
Lo dice anche la saggezza popolare : “prevenire è meglio che curare”.
Ma
la politica non ci sente da questo orecchio. I soldi spesi in
interventi eseguiti in sperduti anfratti, letti di torrenti, versanti di
colline e montagne, non si vedono e quindi non portano voti. I soldi
spesi in emergenza post catastrofe, per riparazione di drammatici danni e
risarcimenti a danneggiati, invece hanno un grande impatto mediatico. E
quindi portano voti. Sarà cinica, e forse anche un po’ grossolana, come
analisi, ma se fate due più due, vi accorgerete che non siamo troppo
lontani dalla realtà. E’ il dissesto ideologico, la maggiore causa del
dissesto idrogeologico.
La
maggior parte dei disastri, sono disastri annunciati. E spesso si
ripetono nelle stesse aree geografiche. Basta dare un’occhiata alle
liste delle alluvioni ed inondazioni (si veda la appendice alla fine di
questo appunto, tratta dalla sempre ben informata Wikipedia). Ci sono ad
esempio zone come quelle della Liguria e della Campania meridionale ove
periodicamente si contano i morti. E non è casuale. Provate a prendere
una cartina del mediterraneo. Con un righello tracciate delle linee che
vanno dallo stretto di Gibilterra all’Italia. Le linee di mare più
lunghe, senza che siano interrotte da isole o coste, sono quelle che
puntano a nord in Liguria ed a sud sulla Campania meridionale. Queste
linee vengono chiamate dagli ingegneri con il termine “fetch”. E non
sono altro che corridoi sul mare aperto dove più a lungo possono
svilupparsi venti senza che siano interrotti da qualche ostacolo. E
possono quindi caricare l’aria di grande umidità presa dal mare. E
generare le più potenti perturbazioni atmosferiche, con la forza di veri
e propri uragani. Che sono la causa delle più grandi alluvioni. Ed ecco
che periodicamente si verificano eventi importanti nelle zona di Genova
e della penisola Sorrentina e relativo entroterra (disastri di Sarno, Quindici, Castellammare di Stabia, ecc.).
LA SITUAZIONE A GENOVA
Il
10 ottobre 2014 piovono oltre 500 mm di pioggia su Genova ed il 4
novembre del 2011, sempre a Genova cadono quasi 500 mm di pioggia in 5
ore. Esondano i fiumi ed i torrenti che esondano sempre in queste
occasioni, Bisagno, Fereggiano, Sturla e Scrivia.
Si è , al solito, parlato di evento mai accaduto prima. Ma non è così.
Il 4 ottobre del 2010, la quantità di pioggia era stata praticamente la
stessa. Ed alluvioni gravi ci sono state in precedenza a Genova nel ’93,
nel ’92 e nel ‘70 (quando i mm di pioggia furono addirittura più di
900). I danni ed i lutti a seguito di alluvioni non sono però sempre gli
stessi. Moto dipende da quello che fa e da quello che non fa l’uomo.
Enormi straripamenti di fiumi nel passato più o meno recente non hanno
provocato gli stessi danni e lo stesso numero di perdite di vite umane
degli ultimi tempi. Semplicemente perché la aree interessate dalle
esondazioni non avevano insediamenti abitativi. Negli ultimi decenni le
urbanizzazioni sono state, in alcuni casi, davvero
dissennate e criminali. I cosiddetti “pianificatori” urbanistici dalla
licenza edilizia facile hanno dimostrato di avere la memoria sempre
cortissima. Ed hanno consentito di costruire in aree dove si sapeva
benissimo che prima o poi sarebbero arrivate le acque straripate. Pochi
sanno, ad esempio, che una alluvione del fiume Arno, farebbe oggi molti
più danni di quella famosissima del 1966, che è stata immortalata dai tg
di tutto il mondo. Perché sulle sponde del fiume, subito dopo l’evento
disastroso, si è costruito moltissimo. Ci fu una vera e propria corsa
alla licenza edilizia da parte di tutti gli enti territoriali
competenti, per arrivare prima dei divieti di edificazione che di lì a
poco la benemerita Commissione De Marchi (dal nome del grande ingegnere
idraulico che la guidava) avrebbe istituito.
NON TUTTO VA MALE :QUANDO SI PREVIENE I DISASTRI NON AVVENGONO
Ma non tutto va così male. Prendiamo l’alluvione di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici,
del 5 maggio del ’98. Un evento tremendo, 159 morti. È un argomento che
conosco abbastanza bene, essendo stato aggiudicatario della gara
pubblica per la progettazione di una parte non irrilevante degli
interventi post-emergenza. Siamo proprio in quella zona della Campania
meridionale soggetta a ricorrenti alluvioni, a cavallo tra le province
di Salerno, Napoli ed Avellino, di cui dicevo prima. Con suoli
particolarmente fragili. Si tratta di terreni provenienti
dalle eruzioni del Vesuvio, proiettati in aria negli scorsi millenni e
ricaduti sui massicci carbonatici, i calcari di base, sui
quali si sono addensati. In particolari condizioni, dopo lunghi periodi
di pioggia, anche non particolarmente intensa, ed in aree acclivi, che
abbiamo subito di recente un disboscamento oppure un incendio, questi
strati di terreno, tecnicamente detti coltri piroclastiche, si staccano
di schianto dalle rocce di base e creano le cosiddette “colate di fango
superveloci”. Che vengono giù anche a 80 km all’ora. Ed hanno una
potenza davvero devastante. Figuratevi che a Sarno, in quel tragico
maggio, una di queste colate staccò di netto dalle fondazioni un
palazzotto di tre piani, che era stato costruito, ovviamente, dove non
doveva, e lo spostò, rigidamente, di oltre 300 metri.
Miracolosamente i tanti giovani che stavano ballando ad una festa al
secondo piano del palazzo, sono restati incolumi. Non è andata
altrettanto bene ad altri 159 sventurati di quell’area. Non è di questi paesi colpiti dai lutti che voglio parlare. Ma
di un altro paese. Che non è andato sulle cronache di alcun giornale o
tg. Eppure si tratta di un comune che si trova proprio nella stessa area
di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici. Con esattamente le stesse
condizioni dei versanti. Piroclastiti su calcari, su forti pendenze. Si
tratta di un paese proprio attaccato al Comune di Quindici, e cioè del
comune di Forino, in provincia di Avellino. Dove quel giorno disgraziato
si sono innescate colate di fango veloci del tutto simili a quelle che
hanno mietuto tante vittime a pochi chilometri di distanza. Ma a Forino
non c’è stato nessun morto. E nemmeno un ferito. Perché quel territorio
si era dotato, negli anni precedenti, di opportune opere di prevenzione.
Non di opere faraoniche. Opere flessibili anti-erosione, opere di
contenimento dei versanti con tecniche di ingegneria naturalistica. E,
soprattutto, una serie di piccole vasche per la raccolta delle future
colate di fango. Che riprendevano la tradizione delle antiche bonifiche
borboniche. Che usavano queste vasche come accumuli di detriti che
venivano dai monti e come cave di sabbie per le costruzioni. Con uno
splendido equilibrio. La natura ogni tanto colmava queste vasche. E gli
uomini, pian piano, le svuotavano. Per lasciarle saggiamente vuote ad
accogliere le prossime colate. E così è avvenuto a Forino il 5 maggio
del ’98. Le colate hanno trovato le vasche vuote e le hanno colmate.
Senza uccidere nessuno. Ne sono testimone diretto. Avendo personalmente
curato la progettazione e la direzione dei lavori di realizzazione di
tutti questi interventi a Forino. Esempio poco clamoroso. Che non ha
attirato alcun cronista. Di “normale” manutenzione del territorio. Ma
anche valido esempio della validità del detto di saggezza popolare già
ricordato : prevenire è meglio che curare.
CAUSE DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO E POSSIBILI RIMEDI
Provo
infine a riassumere le principali cause delle catastrofi e dei lutti
provocati dal dissesto idrogeologico, dando anche qualche cenno sui possibili rimedi:
Scelleratezza urbanistica:
permettere di costruire dove i tecnici competenti sconsigliano di
costruire, trattandosi di zone a rischio di alluvione o di frana o di
dissesto, è da stolti o da criminali; non sarà il caso di smettere di
farlo? I programmi di tutte le forze politiche, nessuna esclusa,
contengono parole altisonanti ed impegni solenni di lotta al dissesto
idrogeologico. Ma, dopo le elezioni, i buoni propositi restano solo
chiacchiere (di quelle che la antica saggezza partenopea accomunava alle
tabacchiere di legno, nel novero degli oggetti non accettati dal banco
dei pegni);
Eccessivo consumo di territorio, con disboscamenti, cementificazioni ed impermeabilizzazioni del terreno: sarebbe
semplice ovviare. Da una parte vietare ulteriori consumi di territorio,
permettendo nuove costruzioni solo nella zone già urbanizzate,
densificando e rottamando la edilizia di scarsa qualità del dopoguerra. E
dall’altra imponendo il cosiddetto criterio della “invarianza
idraulica”. Se, cioè, un determinato territorio, prima di realizzare un
intervento di trasformazione, produce una certa quantità di acqua in
occasione di determinate precipitazioni meteoriche, dopo la
trasformazione deve mantenere costante questa quantità di acqua
prodotta. Questo significa che, se si impermeabilizzano porzioni più o
meno vaste di tale territorio, riducendo quindi le naturali capacità di
ritenzione idrica del terreno originario, è necessario ed obbligatorio
realizzare opere di cattura ed immagazzinamento delle acque di pioggia
intensa, per poi restituirle alla natura solo successivamente allo
scroscio di pioggia. In modo tale da evitare ogni danno da alluvione.
Realizzando quindi quello che gli ingegneri idraulici definiscono la
“laminazione delle piene”.
Mancata realizzazione di opere di manutenzione idraulica: non
pochi disastri sono causati dalla incuria, dalla ridotta capacità di
portata del reticolo idrografico a causa di ostruzioni, interramenti,
abbandoni di rifiuti ingombranti, crollo di alberi ed arbusti, ecc. . Le
operazioni di manutenzione idraulica andrebbero effettuate con
regolarità, e consentirebbero, a conti fatti, di spendere meno e meglio,
e, soprattutto, di evitare di piangere vite umane perdute;
Mancata realizzazione di opere idrauliche di accumulo e regolazione:
l’acqua è elemento fondamentale di vita. Ma può causare danni e morti
sia quando ce n’è troppo poca, sia quando ce n’è troppa. Occorre quindi
usare la saggezza del buon padre di famiglia. Che mette da parte le
risorse nei tempi grassi per i tempi delle vacche magre. E quindi ci
vogliono le vituperate dighe. Che immagazzinano le acque quando scorrono
impetuose e possono causare danni e vittime, per poterle restituire
quando piove poco e ce n’è più bisogno, ad esempio per irrigare i campi
d’estate. Basta studiare un po’ di storia, anche recente, per
apprendere, ad esempio, che la città di Roma andava regolarmente
sott’acqua tutti gli anni fino a pochi decenni orsono. Tanto è vero che
le autorità papaline avevano organizzato un capillare servizio di
barchini che percorrevano le strade romane allagate per distribuire pane
agli abitanti costretti a casa dalle alluvioni, i quali lo ritiravano
dalle finestre. Tutto questo è diventato solo un ricordo storico, grazie
agli imponenti interventi idraulici dei cosiddetti “muraglioni”, ma
anche grazie alle grandi dighe realizzate su alto e medio corso del
Tevere, che consentono di “laminare” le piene del fiume stesso.
Mancata realizzazione di opere di presidio contro erosioni, frane e dissesti idrogeologici : gli
specialisti della materia conoscono perfettamente quali sono i versanti
in frana, quali sono gli alvei dei corsi d’acqua in erosione, quali
sono le aree a rischio di dissesto idrogeologico, e sono perfettamente
in grado di progettare gli interventi atti a scongiurare le catastrofi.
L’investimento più produttivo che possiamo fare è quello nella
salvaguardia del nostro capitale umano e del nostro territorio (l’unica
nostra specifica risorsa non riproducibile dai nostri concorrenti
diretti nell’attrarre flussi turistici) . Diamo quindi fiducia ai (pochi) decisori politici che lo hanno capito.
COSA FARE A GENOVA
La
situazione idrogeologica di Genova è nota agli esperti da sempre. Il
tombamento dei molti corsi d’acqua che l’attraversano, unitamente alla
crescente impermeabilizzazione di aree sempre più vaste di territorio,
senza la applicazione della buona pratica della invarianza idraulica,
non poteva che dare i risultati che vediamo con ricorrente frequenza. Si
sono fatti tanti progetti per realizzare le opere che possano
correggere almeno una parte degli errori del passato. Come ad esempio
uno scolmatore del Feregiano. Una galleria di grandi dimensioni di oltre
sei km, di cui realizzato solo uno (oggi utilizzato come garage
per canoe : sigh!). Altri progetti si sono arenati nei ricorsi al Tar e
nei tagli di spesa. Gli ingegneri idraulici, ed a Genova c’è una
gloriosa scuola di ingegneri idraulici, sanno perfettamente cosa fare
per evitare di continuare a contare i morti per strada nella capitale
ligure. Che gli amministratori della cosa pubblica li ascoltino, una
volta tanto!