Dragare i fiumi? Sbagliato. Lo conferma un giovane studioso
In
tanti durante le ultime recenti emergenze alluvionali hanno chiesto (e
insistito sulla necessità) di dragare i fiumi per evitare disastri. Ma è
davvero questa la soluzione per aumentare la portata d’acqua di tanaro e
Bormida? Chiaccherata informale con Andrea Mandarino, 21 enne
appassionato e studioso di dinamica fluviale, che dal 2007, tiene
annualmente i corsi di aggiornamento pesca per le Guardie Ecologiche
Volontarie (GEV) provinciali. Nell’ambito della Fiera Solidale 2011, ha
tenuto una conferenza proprio dal titolo: “I fiumi italiani e le
calamità artificiali. Le alterazioni antropiche della dinamica fluviale
su scala di bacino”.
Come viene considerato il fiume al giorno d’oggi?
Il fiume viene visto spesso dalla gente comune come “un secchio” oppure
“un tubo”. In realtà, in anni recenti, si è passati da una visione
puntuale ad una visione generale, ovvero a scala di bacino. Il fiume non
è solo un corso d’acqua ma esso intrattiene innumerevoli relazioni con
gli ambienti di ripa, la piana alluvionale, i versanti della testata di
bacino ecc. Non bisogna considerare il fiume solo come una massa d’acqua
che scorre tra le sponde. Quello che succede al suo interno non è
unicamente influenzato da ciò che accade in alveo, ovvero nel solco
inciso. Tutti i processi che avvengono nel bacino idrografico, quindi,
vanno poi a ripercuotersi sull’“asta” fluviale principale.
E l’uomo che tipo di rapporti intrattiene con questo sistema?
Gli ambienti fluviali sono stati profondamente modificati, sia nel
territorio alessandrino che in tutta Italia, dalle alterazioni
antropiche, soprattutto dagli Anni 50 del boom economico. Gli interventi
dell’uomo sui fiumi sono di due tipi: si parla di modificazioni dirette
ed indirette. Le prime riguardano le alterazioni tra le due sponde dei
corsi d’acqua (escavazioni, dighe, prismate ed altri interventi di
“rettificazione”). Le seconde comprendono modificazioni che avvengono
all’interno del bacino fluviale, ma non nell’alveo (ad esempio la
costruzione di una gigantesca area industriale o commerciale, che porta
all’impermeabilizzazione di ettari ed ettari di superficie destinata
all’agricoltura o alla foresta).
L’uomo tende a progettare infrastrutture il più possibile rettilinee,
mentre la natura tende ad essere sinuosa. Per guadagnare terreno utile
all’agricoltura e all’edilizia, si accorcia il tracciato fiumi,
tagliando le curve e stabilizzando le sponde attraverso muraglioni
(tipici dei centri urbani come Alessandria), prismate e massicciate
(grosse rocce disposte lungo le sponde concave per evitare che l’acqua
battente porti all’erosione della sponda stessa). Il problema, tuttavia,
è molto grave. I meandri naturali, infatti, tendono a ridurre
gradualmente la velocità dell’acqua. Con le rettificazioni, invece, il
tracciato del fiume è molto più corto e l’acqua non riesce a rallentare,
anzi aumenta il suo impeto. Questo porta ad una maggior erosione delle
sponde e del fondo. Si è così passati da territori fluviali
caratterizzati da un’ampia fascia alluvionale e di meandrizzazione, a
grossi “canaloni” centrali che hanno lasciato terreno libero per
coltivare o edificare. Molto spesso si progettano imponenti argini e si
arriva a costruire nelle zone adiacenti ad essi. Gli Amministratori e i
Politici lo sanno bene che l’argine non è una divinità, non è eterno e
non garantisce la sicurezza assoluta: è fatto di terra e serve a
contenere una certa portata idrica, ma appena sormontato dall’acqua è
destinato a collassare totalmente.
Si sente spesso dire che i fiumi dovrebbero essere dragati. Ma è davvero così?
Il fiume è una sorta di “nastro trasportatore”. Nel suo tragitto si
porta dietro innumerevoli cose: ghiaia, sostanze nutrienti, organiche,
inorganiche ed esseri viventi, fondamentali per l’auto depurazione del
corso d’acqua stesso. Prende la ghiaia nel tratto montano,
caratterizzato da una forte erosione, e la deposita verso valle. Tutto
questo meccanismo è stato sconvolto dall’uomo, non solo tramite le
rettificazioni, ma anche attraverso le dighe e le escavazioni. Inoltre,
negli ultimi decenni, il fenomeno dell’abbandono della montagna da parte
dell’uomo ha fatto sì che i boschi prendessero il sopravvento,
impedendo, con le loro radici, il rilascio di quell’apporto di ghiaia e
roccia erosa dalla pioggia che c’era stato fino a quel momento.
Insomma, gli interventi antropici degli ultimi 50 anni hanno causato una
notevole diminuzione di ghiaia. Quando la gente comune dice che i letti
dei fiumi si sono alzati e per questo vanno dragati, in realtà,
commette un grosso errore. Infatti i rilievi topografici dimostrano
l’esatto contrario, ovvero che i nostri fiumi sono in carenza di ghiaia.
Il fiume, avendo energia, deve trasportare qualcosa, ma si ritrova con
una velocità ed un impeto ancora maggiori. Non potendo prendere
materiale dalle sponde, lo prende dal fondo. Tuttavia ormai anche i
letti dei fiumi scarseggiano di ghiaia: il “materasso alluvionale” di
molti corsi d’acqua italiani è quasi inesistente. Le opere di
consolidamento dei ponti e dei loro piloni o lo sprofondamento delle
prismate sono una preoccupante spia d’allarme sull’abbassamento del
letto dei fiumi. La tendenza generale è quella di un aumento della
velocità dei corsi d’acqua, che hanno sempre meno materiale al loro
interno in grado di smorzarne l’impeto.
Le escavazioni, invece, che ruolo hanno avuto?
Hanno portato ad un abbassamento generale degli alvei. Le escavazioni,
quindi, non bloccano il “nastro trasportatore” ma tolgono materiale allo
stesso, causando una sua ridistribuzione e il sopracitato
sprofondamento.”
E le dighe?
Causano l’interruzione del flusso, dato che la ghiaia proveniente da
monte si accumula e sedimenta sul fondo del bacino artificiale. Questo
provoca due fenomeni di rilievo: un innalzamento del letto del fiume
nella zona a monte della diga e una fortissima erosione a valle della
stessa, dato che non avendo più materiale da trasportare, l’acqua ha con
sé molta più energia. Ultimamente molte dighe necessitano di interventi
di consolidamento nel lato di valle, proprio perché manca loro
l’appoggio. Altra conseguenza dovuta alla costruzione delle dighe, è
l’eccessivo prelievo idrico che sconvolge le portate in ogni momento
dell’anno. Questo crea un ambiente totalmente nuovo, oltre ad
interrompere la risalita dei pesci. Sfatiamo un mito: il detto popolare,
ormai divenuto leggendario, “ecco, è arrivata l’alluvione perché hanno
aperto le dighe” è assolutamente infondato e privo di logica. Le dighe
di alta montagna sono quasi tutte costituite da uno sbarramento
verticale e da pochi scaricatori. Non è possibile che si possano aprire
del tutto. Inoltre appena c’è il pericolo di alluvione, il Prefetto
ordina la cessazione di qualsiasi attività nei loro pressi. E infine,
chi gestisce un impianto idroelettrico non ha nessun guadagno
nell’aprire la sua diga e nel perdere la preziosa materia prima. Anzi.
Quali sarebbero i rimedi per limitare i danni delle alluvioni?
La più grande opera di cui l’Italia ha bisogno è il riassetto
idrogeologico. Ci va una maggiore cura nella prevenzione e dunque
un’applicazione effettiva delle leggi esistenti. Le piene dei fiumi non
si possono evitare e dobbiamo imparare a convivere con loro, adottando
strategie specifiche. Stop alla cementificazione e avvio di una
pianificazione territoriale efficace, allontanamento degli argini dalle
sponde, costruzione di aree di laminazione e casse d’espansione, stop
alle escavazioni e alle costruzioni in aree golenali. Con questi
semplici accorgimenti si potrebbero limitare innumerevoli danni a cose e
persone che, immancabilmente, ormai si ripresentano ad ogni piena di
una certa portata.
FONTE: http://www.lapulceonline.it/2012/03/11/dragare-i-fiumi-sbagliato-lo-dice-uno-studioso/