venerdì 24 gennaio 2014

Dragare i fiumi?

Dragare i fiumi? Sbagliato. Lo conferma un giovane studioso 

 

 

 


In tanti durante le ultime recenti emergenze alluvionali hanno chiesto (e insistito sulla necessità) di dragare i fiumi per evitare disastri. Ma è davvero questa la soluzione per aumentare la portata d’acqua di tanaro e Bormida? Chiaccherata informale con Andrea Mandarino, 21 enne appassionato e studioso di dinamica fluviale, che dal 2007, tiene annualmente i corsi di aggiornamento pesca per le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) provinciali. Nell’ambito della Fiera Solidale 2011, ha tenuto una conferenza proprio dal titolo: “I fiumi italiani e le calamità artificiali. Le alterazioni antropiche della dinamica fluviale su scala di bacino”.
Come viene considerato il fiume al giorno d’oggi?
Il fiume viene visto spesso dalla gente comune come “un secchio” oppure “un tubo”. In realtà, in anni recenti, si è passati da una visione puntuale ad una visione generale, ovvero a scala di bacino. Il fiume non è solo un corso d’acqua ma esso intrattiene innumerevoli relazioni con gli ambienti di ripa, la piana alluvionale, i versanti della testata di bacino ecc. Non bisogna considerare il fiume solo come una massa d’acqua che scorre tra le sponde. Quello che succede al suo interno non è unicamente influenzato da ciò che accade in alveo, ovvero nel solco inciso. Tutti i processi che avvengono nel bacino idrografico, quindi, vanno poi a ripercuotersi sull’“asta” fluviale principale.
E l’uomo che tipo di rapporti intrattiene con questo sistema?
Gli ambienti fluviali sono stati profondamente modificati, sia nel territorio alessandrino che in tutta Italia, dalle alterazioni antropiche, soprattutto dagli Anni 50 del boom economico. Gli interventi dell’uomo sui fiumi sono di due tipi: si parla di modificazioni dirette ed indirette. Le prime riguardano le alterazioni tra le due sponde dei corsi d’acqua (escavazioni, dighe, prismate ed altri interventi di “rettificazione”). Le seconde comprendono modificazioni che avvengono all’interno del bacino fluviale, ma non nell’alveo (ad esempio la costruzione di una gigantesca area industriale o commerciale, che porta all’impermeabilizzazione di ettari ed ettari di superficie destinata all’agricoltura o alla foresta).
L’uomo tende a progettare infrastrutture il più possibile rettilinee, mentre la natura tende ad essere sinuosa. Per guadagnare terreno utile all’agricoltura e all’edilizia, si accorcia il tracciato fiumi, tagliando le curve e stabilizzando le sponde attraverso muraglioni (tipici dei centri urbani come Alessandria), prismate e massicciate (grosse rocce disposte lungo le sponde concave per evitare che l’acqua battente porti all’erosione della sponda stessa). Il problema, tuttavia, è molto grave. I meandri naturali, infatti, tendono a ridurre gradualmente la velocità dell’acqua. Con le rettificazioni, invece, il tracciato del fiume è molto più corto e l’acqua non riesce a rallentare, anzi aumenta il suo impeto. Questo porta ad una maggior erosione delle sponde e del fondo. Si è così passati da territori fluviali caratterizzati da un’ampia fascia alluvionale e di meandrizzazione, a grossi “canaloni” centrali che hanno lasciato terreno libero per coltivare o edificare. Molto spesso si progettano imponenti argini e si arriva a costruire nelle zone adiacenti ad essi. Gli Amministratori e i Politici lo sanno bene che l’argine non è una divinità, non è eterno e non garantisce la sicurezza assoluta: è fatto di terra e serve a contenere una certa portata idrica, ma appena sormontato dall’acqua è destinato a collassare totalmente.
Si sente spesso dire che i fiumi dovrebbero essere dragati. Ma è davvero così?
Il fiume è una sorta di “nastro trasportatore”. Nel suo tragitto si porta dietro innumerevoli cose: ghiaia, sostanze nutrienti, organiche, inorganiche ed esseri viventi, fondamentali per l’auto depurazione del corso d’acqua stesso. Prende la ghiaia nel tratto montano, caratterizzato da una forte erosione, e la deposita verso valle. Tutto questo meccanismo è stato sconvolto dall’uomo, non solo tramite le rettificazioni, ma anche attraverso le dighe e le escavazioni. Inoltre, negli ultimi decenni, il fenomeno dell’abbandono della montagna da parte dell’uomo ha fatto sì che i boschi prendessero il sopravvento, impedendo, con le loro radici, il rilascio di quell’apporto di ghiaia e roccia erosa dalla pioggia che c’era stato fino a quel momento.
Insomma, gli interventi antropici degli ultimi 50 anni hanno causato una notevole diminuzione di ghiaia. Quando la gente comune dice che i letti dei fiumi si sono alzati e per questo vanno dragati, in realtà, commette un grosso errore. Infatti i rilievi topografici dimostrano l’esatto contrario, ovvero che i nostri fiumi sono in carenza di ghiaia.
Il fiume, avendo energia, deve trasportare qualcosa, ma si ritrova con una velocità ed un impeto ancora maggiori. Non potendo prendere materiale dalle sponde, lo prende dal fondo. Tuttavia ormai anche i letti dei fiumi scarseggiano di ghiaia: il “materasso alluvionale” di molti corsi d’acqua italiani è quasi inesistente. Le opere di consolidamento dei ponti e dei loro piloni o lo sprofondamento delle prismate sono una preoccupante spia d’allarme sull’abbassamento del letto dei fiumi. La tendenza generale è quella di un aumento della velocità dei corsi d’acqua, che hanno sempre meno materiale al loro interno in grado di smorzarne l’impeto.
Le escavazioni, invece, che ruolo hanno avuto?
Hanno portato ad un abbassamento generale degli alvei. Le escavazioni, quindi, non bloccano il “nastro trasportatore” ma tolgono materiale allo stesso, causando una sua ridistribuzione e il sopracitato sprofondamento.”
E le dighe?
Causano l’interruzione del flusso, dato che la ghiaia proveniente da monte si accumula e sedimenta sul fondo del bacino artificiale. Questo provoca due fenomeni di rilievo: un innalzamento del letto del fiume nella zona a monte della diga e una fortissima erosione a valle della stessa, dato che non avendo più materiale da trasportare, l’acqua ha con sé molta più energia. Ultimamente molte dighe necessitano di interventi di consolidamento nel lato di valle, proprio perché manca loro l’appoggio. Altra conseguenza dovuta alla costruzione delle dighe, è l’eccessivo prelievo idrico che sconvolge le portate in ogni momento dell’anno. Questo crea un ambiente totalmente nuovo, oltre ad interrompere la risalita dei pesci. Sfatiamo un mito: il detto popolare, ormai divenuto leggendario, “ecco, è arrivata l’alluvione perché hanno aperto le dighe” è assolutamente infondato e privo di logica. Le dighe di alta montagna sono quasi tutte costituite da uno sbarramento verticale e da pochi scaricatori. Non è possibile che si possano aprire del tutto. Inoltre appena c’è il pericolo di alluvione, il Prefetto ordina la cessazione di qualsiasi attività nei loro pressi. E infine, chi gestisce un impianto idroelettrico non ha nessun guadagno nell’aprire la sua diga e nel perdere la preziosa materia prima. Anzi.
Quali sarebbero i rimedi per limitare i danni delle alluvioni?
La più grande opera di cui l’Italia ha bisogno è il riassetto idrogeologico. Ci va una maggiore cura nella prevenzione e dunque un’applicazione effettiva delle leggi esistenti. Le piene dei fiumi non si possono evitare e dobbiamo imparare a convivere con loro, adottando strategie specifiche. Stop alla cementificazione e avvio di una pianificazione territoriale efficace, allontanamento degli argini dalle sponde, costruzione di aree di laminazione e casse d’espansione, stop alle escavazioni e alle costruzioni in aree golenali. Con questi semplici accorgimenti si potrebbero limitare innumerevoli danni a cose e persone che, immancabilmente, ormai si ripresentano ad ogni piena di una certa portata.

FONTE: http://www.lapulceonline.it/2012/03/11/dragare-i-fiumi-sbagliato-lo-dice-uno-studioso/

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