Visualizzazione post con etichetta Messina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Messina. Mostra tutti i post

giovedì 11 dicembre 2014

Se Messina costruisce palazzi nei due torrenti delle frane

Al lavoro contro frane e alluvioni
Fonte: http://italiasicura.governo.it/site/home/news/articolo206.html

Silurato il tecnico antiabusi, la cementificazione è già ripartita
Messina sfida ancora le frane di Gian Antonio Stella - Corriere della Sera


Alla prossima frana, non osino chiedere aiuto allo Stato. Alla prossima frana, non osino strillare davanti alle telecamere. Non osino invocare risarcimenti per i danni. Perché lo sanno tutti, a Messina, che è da pazzi costruire nei letti dei torrenti Trapani e Boccetta. Eppure, appena rimosso il funzionario che si opponeva, sono ripartiti i cantieri. Come se tante tragedie non fossero mai avvenute.

È una pazzia doppia, quella di Messina. Perché i numeri dell'anagrafe dicono che la città, a dispetto di piani di sviluppo megalomani che prevedevano una metropoli di mezzo milione di persone, perde abitanti. Ne aveva, nel 1981, oltre 260 mila. Ne ha, oggi, quasi 20 mila in meno. Ed è tappezzata di cartelli: «vendesi», «affittasi». Al punto che Lucio D'Amico sulla Gazzetta dei Sud, parlando dei nuovi cantieri, scrive che «i costruttori tireranno un sospiro di sollievo, ma poi dovrebbero spiegare a chi venderanno». Analisi certificata dall'Osservatorio immobiliare 2014 di Nomisma. Che parla di crollo nelle compravendite sullo Stretto, tra il 2012 e 2013, del 47%.

A maggior ragione, in questo contesto, è impossibile comprendere l'altra pazzia, quella di costruire in zone ad alto rischio. Sono anni, ad esempio, che il canalone lungo il quale scende il torrente Trapani viene additato come un'area pericolosa. E anni che continuano a tirar su condomini: «Quel che sta accadendo nella parte alta del torrente Trapani è rabbrividente», scriveva nel 2010 Francesco Celi, precisando che probabilmente sulla carta era tutto in regola («speciosa ma doverosa puntualizzazione») nonostante la collina «sulla quale sta sorgendo una palazzina, l'ennesima palazzina, palesa su un fianco cinque ferite, squarci provocati da movimenti franosi».

Erano previsti due centri commerciali e vari caseggiati per ospitare oltre tremila abitanti, lungo il Trapani. Tutto bloccato dall'ingegner Gaetano Sciacca, l'allora capo del Genio civile, inviso ai costruttori perché, in base a una sentenza della Cassazione sulla priorità della sicurezza, si era messo di traverso a una leggina varata da Totò Cuffaro che consentiva d'aprire i cantieri un istante dopo il deposito del progetto senza che alcuno potesse stopparlo.

E se l'edificio fosse stato tirato su nel disprezzo di ogni vincolo antisismico o idrogeologico? Amen: si poteva sempre abbatterlo, dopo. Anche se storicamente gli abbattimenti in Sicilia sono più rari dei fichi d'India in Alaska? Domanda impertinente: uffa, i soliti nemici dello sviluppo!
Fatto sta che, tolto di mezzo poche settimane fa lo scomodo funzionario che mentre metteva in sicurezza i luoghi delle frane del 2009 aveva bloccato decine di lottizzazioni pericolose («costruiscono ville sul mare o in località a rischio e poi pretendono opere pubbliche a difesa dell'indifendibile»), tutto è ricominciato come prima. Quando tutti facevano quel che gli pareva.
Un esempio dell'anarchia tollerata da una classe dirigente di imbarazzante mediocrità? Il procuratore Guido Lo Forte è arrivato a sequestrare un cantiere proprio a Boccetta dove le ruspe del costruttore, per passare più comodamente sotto con i camion, avevano demolito una parte dei pilastri di sostegno dello svincolo stradale. E se il viadotto fosse crollato? Uffa, i soliti menagramo!

Ed ecco che sulla Gazzetta, proprio come temevano Anna Giordano del Wwf e gli ambientalisti che avevano inutilmente chiesto al governatore Rosario Crocetta di non toccare il Genio civile, si tornano a leggere cronache cosi: «Stanno sbancando di nuovo la collina del Boccetta. Pensavamo che la folle rincorsa alla cementificazione si fosse fermata, o, quanto meno, non fosse più consentita in alcuni luoghi, dove dovrebbe essere vietato ogni genere di edificazione. E invece un altro cantiere è stato aperto, le ruspe stanno spianando...».

Il «Piano Stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogeologico» della Regione Siciliana del 2008 ospita una raffica di fotografie impressionanti: frane, frane, frane, frane... E pari, per il solo comune di Messina solcato da 52 fiumare per la metà intubate, a 406 problemi idrogeologici per un totale di quasi 468 ettari colpiti da crolli, «frane complesse», «colamenti rapidi», «dissesti dovuti a erosione accelerata»...
Eppure, nonostante il rapporto Ispra 2008, richiamandosi al disastroso terremoto del 1908, denunciasse che «l'intensa urbanizzazione rende concreta la possibilità che una nuova calamità possa essere ancora più disastrosa di quella di cento anni fa», continuano a cementificare, cementìficare, cementificare...

venerdì 24 gennaio 2014

Non diteci che nessuno sapeva (Messina) - A.Tozzi

Non diteci che nessuno sapeva
di MARIO TOZZI (La Stampa, 3/10/2009)


E’ proprio un Paese bizzarro l’Italia, pensate che d’autunno piove - qualche volta a lungo -, i fiumi straripano e le tempeste mangiano le spiagge. E pensate che, se avete costruito nel letto di un fiume, ci sono buone probabilità che la vostra casa venga spazzata via per colpa delle alluvioni. Un fenomeno nuovo, si potrebbe pensare, mai segnalato finora, specialmente nel Mezzogiorno: chi potrebbe immaginare che intere colline d’argilla franino a mare portandosi con sé case e persone? Non serviva un geologo, bastava un archivista che avesse rovistato nei documenti comunali.

Per sancire come le frane siano un fenomeno comune, esattamente come le mareggiate, nel Messinese: le ultime quattro vittime nel 1998, appena a Nord della città. Ma in Italia avviene, in media, uno smottamento ogni 45 minuti e periscono, per frana, di media, sette persone al mese. Già questo è un dato poco compatibile con un Paese moderno, ma se si scende nel dettaglio si vede che, dal 1918 al 2009, si sono riscontrate addirittura oltre 15 mila gravi frane. E non solo frane, ma anche alluvioni (oltre 5 mila le gravi, sempre dal 1918), spesso intimamente connesse agli smottamenti. Questo nonostante oggi la protezione civile sia molto più efficiente di solo venti anni fa. Le frane sono un fenomeno naturale, ma non lo sono le migliaia di morti né le azioni dell’uomo che le innescano al di là delle condizioni naturali.

Tutto questo era ben noto fino dal tempo della commissione De Marchi, che fotografò, per la prima volta in modo organico (nel 1966), il dissesto idrogeologico del territorio italiano in otto volumi in cui si suggerivano anche alcuni interventi indispensabili e ritenuti urgenti fino da allora. Sono passati decenni e c’è ancora chi si stupisce oggi. Non solo: la situazione è stata aggravata dalla massa assurda delle nuove costruzioni, da centinaia di chilometri di strade, da disboscamenti insensati e dagli incendi mirati, dai condoni edilizi che espongono al rischio migliaia di cittadini che hanno scelto deliberatamente di delinquere. Ma come volevate che finissero quelle case, magari abusive, che strozzano i letti dei corsi d’acqua, come dovevano finire i viadotti troppo bassi, le strade e il cemento che hanno sclerotizzato il territorio?

Eppure - a differenza dei terremoti - le frane possono essere previste e i nomi sono già storia: Ancona (1982), il Monte Toc al Vajont (1963), la Valtellina (1987), Niscemi (1997), Sarno (1998), l’autostrada del Brennero (1998), Soverato (2002) e così via disastrando. Secondo il Cnr il totale del territorio a rischio di frane, o comunque vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, in Italia, è pari al 47,6%. Quasi il 15% del totale nazionale delle frane, e quasi il 7% delle inondazioni, avviene in Campania (1600 in 75 anni), dove 230 Comuni su 551 sono a rischio di smottamento. La superficie vulnerabile per frane e alluvioni è, in Campania, pari al 50,3% del territorio regionale.
Il Trentino sfiora l’86% - in vetta alla graduatoria -, le Marche arrivano all’85% e il Friuli è ben sopra il 50%: resta da chiedersi come mai però nel Mezzogiorno quel rischio potenziale si traduce più spesso che altrove in catastrofe, con Basilicata, Calabria e Sicilia che vanno comunque oltre il 60% del territorio a rischio. Ma la risposta la conosciamo già: l’incuria del territorio è qui diventata prassi quotidiana, perché gli amministratori preferiscono costruire un’opera pubblica, anche se inutile, purché si veda e porti consenso: chi si accorgerà invece di una manutenzione ordinaria, spesso invisibile, del territorio?

Per non parlare dell’incivile tolleranza all’abusivismo o dell’ignoranza di qualsiasi principio fisico che informi il territorio: che ne sanno gli amministratori che una frana è uno spettacolare esempio di un fenomeno geologico del tutto naturale, che porta al trasferimento di materiale dall’alto in basso grazie alla forza di gravità? E che le cause generali delle frane sono molte, ma, in tutto il mondo, l’intervento dell’uomo gioca un ruolo fondamentale? Fra qualche giorno nessuno ricorderà i morti di Messina e si continuerà a inseguire il sogno di un ponte inutile che renderà ineluttabile il dissesto idrogeologico, quando non vedrà compromessa addirittura la stabilità complessiva di un intero settore della penisola. Stornando risorse che dovrebbero essere spese per salvare vite e non per inseguire follie faraoniche.