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giovedì 20 novembre 2014

Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico

Alluvioni, parte il Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico

Oggi a Palazzo Chigi il vertice della task force #italiasicura con i sindaci delle aree metropolitane e i presidenti delle Regioni

FOnte: http://www.edilportale.com/news/2014/11/ambiente/alluvioni-parte-il-piano-nazionale-contro-il-dissesto-idrogeologico_42648_52.html


20/11/2014 - Progetti esecutivi, opere e interventi urgenti, risorse disponibili e un cronoprogramma da rispettare per difendere le aree metropolitane dal rischio di frane o alluvioni.
Alluvioni, parte il Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico

È questo l’ordine del giorno del vertice che si terrà oggi alle 12.00 a Palazzo Chigi tra la Struttura di missione #italiasicura e i presidenti delle Regioni e delle Autorità di Bacino e i Sindaci delle città metropolitane di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Firenze, Bologna, Genova, Reggio Calabria, Cagliari, Palermo, Messina e Catania.

“Quello che sta accadendo - ha detto Erasmo D’Angelis, capo della task force #italiasicura - dimostra che i livelli di esposizione al rischio sono tali che non consentono più a nessuno di perdere tempo, sottovalutare e continuare ad abusare del territorio devastando aste fluviali e aumentando i pericoli. Adesso si volta pagina e tutti dobbiamo considerare finalmente la prevenzione come priorità per il Paese”.

Insieme al Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e al Presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino, sarà analizzato lo stato di rischio delle aree metropolitane e verrà presentato il primo stralcio del nuovo Piano Nazionale 2014-2020 contro il dissesto idrogeologico.

Il Piano conta su quasi 9 miliardi di euro: 5 provenienti dai fondi di sviluppo e coesione, 2 dal cofinanziamento delle Regioni o dai fondi europei a disposizione delle Regioni, e 2 miliardi recuperati dai fondi per la messa in sicurezza e non ancora spesi.

Le risorse serviranno ad aprire 654 cantieri entro il 2014, per un totale di 807 milioni di euro, e altri 659 nei primi mesi del 2015, per un valore di 1 miliardo e 96 milioni di euro. Sono invece 1.732 i cantieri già aperti, per un valore di 1,6 miliardi di euro.

Il Piano, la cui attuazione richiederà almeno sei anni, partirà dalle aree metropolitane, nelle quali vivono milioni di persone. Il Governo ha chiesto ai presidenti di Regione di predisporre, entro il 4 dicembre 2014, un elenco di opere urgenti da considerare come prioritarie nel Piano di prevenzione.

Maltempo, Delrio: "Faremo un grande piano nazionale" - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Delrio-a-Genova-Agire-sulle-emergenze-mai-piu-opere-bloccate-per-contenziosi-90fda545-cd6a-4de3-a4e1-0d363bd46bd7.html?refresh_ce#sthash.WL6ONGBV.dpuf

lunedì 27 gennaio 2014

Il futuro dell'area Thyssen - A.Bracco

Area Thyssen - Torino - lungo il torrente Dora Riparia.

 Potenziali interazioni dell’annunciata trasformazione
urbanistica con il fiume Dora Riparia-A.Bracco

Arch. Arturo Bracco - Ex-dirigente della Regione Piemonte (Direzione difesa del Suolo) e ex-dirigente AIPo.

La Regione Piemonte fa parte della Autorità di bacino del fiume Po.
Autorità di bacino nazionale, nella quale sono rappresentati i Ministeri - con competenze nelle materie ambientali, delle infrastrutture, dei beni storici e paesaggistici, della protezione civile, ed altre – e tutte le Regioni della pianura padana: Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Provincia di Trento, Toscana ed Emilia Romagna.
Ecco alcuni dati relativi al bacino idrografico del Po, il più grande d’Italia. Il bacino idrografico del Po – ossia, il ter-ritorio le cui acque vengono naturalmente convogliate nel Po - ha una superficie di 74.000 chilometri quadrati, dei quali 71.000 sono compresi entro i confini dell’Italia. L’asta del Po ha uno sviluppo di 652 chilometri; vi affluiscono 141 corsi d’acqua. Nel bacino del Po sono compresi oltre 3.200 Comuni. La popolazione insediata nel bacino è di 16 milioni di abitanti. Il bacino idrografico del Po costituisce 1/4 del territorio nazionale e in esso si produce il 40% del prodotto interno lordo.
L’Autorità di bacino del fiume Po ha essenzialmente competenze in materia di pianificazione, di programmazione e di disciplina del territorio ai fini della prevenzione del rischio idraulico e geologico e della tutela ed uso del-le acque. L’Autorità ha predisposto il Piano stralcio per l’assetto idrogeologico – conosciuto con l’acronimo di PAI – che interessa tutti i 3.200 Comuni compresi nel bacino idrografico. Tra questi, tutti i 1.206 Comuni della Regione Piemonte.

Il Piano stralcio per l’assetto idrogeologico, tra l’altro: 1) individua le fasce fluviali a tutela del Po e dei suoi principali affluenti; 2) individua, delimita (ove possibile) e caratterizza la pericolosità dei dissesti sui versanti (frane, conoidi, valanghe) e delle esondazioni e dei dissesti sul reticolo idrografico minore, non interessato dalle predette fasce fluviali; 3) prescrive che tutti i Comuni debbono verificare la compatibilità idraulica e geologica delle pre-scrizioni dei Piani Regolatori, sia a seguito dell’approvazione del PAI, che contestualmente all’adozione di successive Varianti ai Piani Regolatori.
Il PAI detta prescrizioni tassative, immediatamente vincolanti, in ordine agli usi, alle attività ed alle opere con-sentiti e vietati nelle fasce fluviali dei principali corsi d’acqua. Dette prescrizioni alle quali i Piani Regolatori devono essere adeguati con riferimento alle tipizzate condizioni di pericolosità sui versanti, sui fondovalle e sul reticolo idrografico minore.
Le fasce fluviali del Po e dei principali affluenti interessano i territori del Piemonte per quasi 1/3 del loro sviluppo complessivo.
Le aree di laminazione naturale delle portate di piena presenti in Piemonte – ossia, quei territori che vengono naturalmente allagati in occasione di piene gravose – costituiscono presidi naturali a tutela dei territori e delle Regioni di valle, in assenza dei quali le portate ed i livelli idrometrici nei territori del medio e basso Po sarebbero ancora più gravosi.


Le fasce fluviali, a fini di pianificazione, sono state delimitate assumendo a riferimento una portata di progetto, con una probabilità di accadimento di 200 anni. Dunque, una portata non ordinaria, bensì gravosa; ma non si incorra nell’equivoco di ritenere che una piena con tempo di ritorno di 200 anni sia rara o, addirittura, che essa sia destinata a manifestarsi solo ogni 200 anni.
Non è così. Un esempio per tutti: ad Ivrea la Dora Baltea esondò, in destra idrografica, sia nel 1993 che nel 2000, con effetti analoghi, con portate qualificate, en-trambe, come duecentennali.
Le fasce fluviali sono distinte in tre tipi: 1) la Fascia A, che comprende l’alveo inciso del corso d’acqua, nella quale defluisce almeno l’80% della portata di progetto; 2) la Fascia B, esterna alla Fascia A, che comprende tutte le aree allagabili, in funzione delle quote dei terreni e delle opere esistenti, nonché le forme fluviali riatti-vabili in corso di piena; 3) la Fascia C, esterna alle Fasce A e B, che comprende le aree che sarebbero inte-ressate dalla massima piena storica registrata o, in difetto, da una piena con tempo di ritorno di 500 anni; quindi, una piena più gravosa di quella con tempo di ritorno di 200 anni.
Nelle aree comprese nelle Fasce A e B si devono appli-care le prescrizioni del PAI, prevalenti su quelle dei Piani Regolatori.
I territori compresi nella Fascia C devono trovare specifica e puntuale considerazione nei Piani di Protezione Civile e i Piani Regolatori devono compiere i necessari approfondimenti volti a dettare norme di tutela ed uso del suolo idonee ed adeguate a mitigare le condizioni di vulnerabilità e di rischio degli insediamenti esistenti e tali da non aggravare ulteriormente il rischio.
Gli stessi approfondimenti devono, tanto più, essere effettuati in occasione di successive specifiche e pun-tuali Varianti.
Quanto sin qui riferito era necessario per esporre lo stato degli atti di pianificazione che interessano il comparto Thyssen ed altri.



A valle del ponte di corso Regina Margherita le fasce fluviali A e B sono essenzialmente aderenti o comun-que limitrofe all’alveo inciso della Dora Riparia. Di contro, a monte dello stesso ponte le Fasce A e B sono assai estese, in destra e in sinistra idrografica, comprendono meandri riattivabili; nel loro insieme, interes-sano aree naturali e verdi (il parco della Pellerina) e si attestano, sostanzialmente, sul rilevato di corso Regina Margherita. La Fascia C è molto estesa, a monte e a valle del ponte, e interessa vasti insediamenti urbani.
Dunque, sembra doversi dedurre che il ponte di corso Regina Margherita costituisce una interferenza al de-flusso della portata di progetto. Le aree di esondazione naturale a monte concorrono al contenimento dei livelli idrometrici associati alla piena di progetto.
Nel corso della piena del 2000 sarebbe stato interessato lo stesso corso Regina Margherita e nei territori re-trostanti si registrarono allagamenti, con tiranti idraulici localmente modesti.
Successivamente a tale evento furono realizzate opere di difesa.

Il comparto interessato dalla presenza dell’insediamento Thyssen ed altri limitrofi sono compresi in Fascia C.
A seguito dell’entrata in vigore del Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico è stata approvata una Variante al Pia-no Regolatore per il suo adeguamento al PAI, anche con riferimento alle anzidette fasce fluviali. Ove la supposta Variante al Piano Regolatore relativa al comparto occupato dallo stabilimento industriale denominato Thyssen comporti la totale trasformazione urbanistica dell’area, con la costruzione di nuovi insediamenti, con destinazioni d’uso residenziali, commerciali, ricettive, produttive ed altre, ci si deve ragionevolmente attendere che vengano preliminarmente effettuati puntuali approfondimenti in ordine alle effettive, specifiche, concrete e attuali condi-zioni di pericolosità, di vulnerabilità e di rischio sulla zona di intervento e su quelle limitrofe.
Anche con riferimento ai requisiti di idoneità e di adeguatezza del ponte e alle caratteristiche del rilevato di corso
Regina Margherita, alla eventuale presenza di sottopassi e di fornici.
E’ noto che il valore del rischio totale è dato dal prodotto della pericolosità, della vulnerabilità e del valore dei beni socio-economici esposti; ossia, persone e beni materiali.A condizioni di pericolosità immutate, aumentando il valore dei beni socio-economici esposti, aumenta il rischio totale.
Eventi catastrofici e luttuosi si susseguono incessantemente, nel nostro Paese.

I provvedimenti da porre in essere sono essenzialmente di tre tipi: le diverse misure previsionali, di monitoraggio e di protezione civile; le opere strutturali di difesa idraulica e geologica; le prescrizioni e le previsioni degli stru-menti urbanistici, improntate dalla conoscenza, dalla consapevolezza ed orientate alla cautela.

(Arturo Bracco)
Fonte: L'aquilone Legambiente -  Anno 18, n.3, dicembre 2013

venerdì 24 gennaio 2014

Il grande sacco d'Italia - B.Spinelli

FONTE: http://www.lastampa.it/2009/10/04/cultura/opinioni/editoriali/il-grande-sacco-dellitalia-vAqoFRHXOgnkusozbFF3DK/pagina.html?exp=1
Editoriali

Il grande sacco dell'Italia

Lo chiamano nubifragio, quello che ha ucciso decine di persone nei villaggi del Messinese e gettato nel fango le loro case, e invece la natura matrigna non c’entra. Non è lei a tradire, ingannare. C’entra invece lo Stato matrigno, e c’entrano le opere pubbliche, le infrastrutture, gli amministratori matrigni. È a loro e non alla natura che occorre rivolgersi con la domanda che Leopardi lancia alla natura: «Perché non rendi poi/Quel che prometti allor?/ perché di tanto/ Inganni i figli tuoi?». È l'Italia che vediamo piano piano autodistruggersi, e non solo nel modo in cui si governa ma nel suo stesso fisico stare in piedi, nel suo esser terra, fiumi, colline, modi di abitare. Si va sgretolando davanti ai nostri occhi come fosse un castello che abbiamo accettato di fare di carta, anziché di mattoni. Che ciascuno di noi accetta - per noia, per fretta, per indolente fatalismo - di fare di carta.

E’ essenziale leggere Gomorra per capire l’estensione del dominio del male ma basta mettere in fila i tanti disastri visti in televisione, e il cittadino non si sottrarrà all’impressione di un Paese dove perfino la terra frana a causa di questo lungo dominio.

Inutile dividere i mali italiani in compartimenti stagni: la morte della politica da una parte, l’informazione ammaestrata o corriva dall’altra, le speculazioni edilizie da un’altra ancora. Tutte queste cose sono ormai legate, fanno un unico grumo di misfatti e peccati d'omissione che mescola vizi antichi e nuovi. È l’illegalità che uccide l’Italia politica e anche quella fisica, la sua stima di sé, la sua speranza, con tutti i vizi che all’illegalità s’accompagnano: la menzogna che il politico dice all’elettore e quella che ciascuno dice a se stesso, il silenzio di molte classi dirigenti su abusivismo e piani regolatori rimaneggiati, il territorio che infine soccombe. Nella recente storia non sono caduti uccisi solo eroici servitori della Repubblica, che hanno voluto metter fine all’anti-Stato che mina la nazione dagli Anni 60. Muoiono alla fine gli uomini comuni, en masse: abbattuti dalla menzogna, dall’abusivismo, dalla disinvoltura con cui si costruiscono case, scuole, ospedali con materiali di scarto. Non da oggi ma da decenni, destre e sinistre confuse.

Il servizio pubblicato ieri su La Stampa da Francesco La Licata è tremendo. Non è solo Giampilieri che l’abusivismo ha colpito, perché le fondamenta del villaggio erano inaridite da disboscamenti irrazionali e poggiavano «su creta incerta, massacrata dalla furia della corsa al cemento» - in particolare dal cemento «allungato», che le mafie usano per guadagnare molto e presto, senza pensare al domani: l’ingordigia delle mafie e soprattutto l’impunità di cui esse godono nella penisola minacciano opere pubbliche di mezza Sicilia (gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo, il commissariato di polizia che si sta costruendo a Castelvetrano). La terra trema in Italia e il gran traditore non è la natura ma l’omertà di un’intera società. Omertà è una parola etimologicamente incerta: pare provenga da umirtà, e sia dunque una versione succube, perversa dell’umiltà. L’abbiamo sentito dire quando ci fu il disastro abruzzese e lo stesso vale per Messina: in Giappone o in Germania non ci sarebbero tanti morti, in presenza di intemperie. Giampilieri non è un’eccezione che conferma buone regole ma è la nostra regola.

È diventata la nostra regola perché tutto, appunto, si tiene: la cultura dell’illegalità che si tollera e l’abusivismo che si accetta sperando di trarne, individualmente, qualche vantaggio immediato. Perché tutto trema in contemporanea: terra e politica, senso dello Stato e maestà della legge. Perché intere regioni (non solo a Sud) sfuggono al controllo dei poteri pubblici, intrise di mafia e omertà. E perché l’informazione non circola, non aiuta le autorità municipali, regionali, nazionali a correggersi, essendo inascoltata e dando solo fastidio. L’informazione indipendente irrita quando denuncia lo svilimento dello Stato che nasce dalle condotte private di un presidente del Consiglio. Irrita quando ricorda che il ponte di Messina è una sfarzosa e temeraria tenda su infrastrutture siciliane degradate. Allo stesso modo danno fastidio, e non solo all’attuale governo, le indagini di Legambiente o della magistratura. La Licata spiega come non manchino indagini e moniti che da anni denunciano la criminalità edilizia, i brogli sui piani regolatori, la cementificazione fatta di molta sabbia e poco ferro: sono a rischio di crollo trenta capannoni dell’area industriale di Partinico, sono sotto inchiesta la Calcestruzzi Spa e la Calcestruzzi Mazara Spa. In un Paese dove la legalità non ha buon nome è ovvio che l’informazione in sé fa paura, quando porta chiarezza.

Dipende da ciascun cittadino far sì che queste abitudini cessino. Finché penseremo che i disastri sono naturali, non faremo nulla e sprofonderemo. È un po' come nella Dolce vita di Fellini. Nella campagna romana, una famiglia aristocratica possiede una villa del '500 caduta a pezzi e nessuno l’aggiusta. Il capofamiglia s’aggira sconsolato fra le rovine, sogna di mettere un pilastro qui, una trave lì. Si lamenta col figlio che non fa nulla per riparare, che bighellona a Roma stanco di tutto. «Ma cosa vuoi che faccia, papà?», replica quest’ultimo, stomacato. È la cinica, accidiosa risposta che l’italiano continua a dare a se stesso, ai propri padri e anche ai propri figli.

L’indebolirsi della politica e la non volontà di governare il territorio li tocchiamo con mano e hanno ormai un loro teatrale, quasi macabro rituale. L’Italia è divenuta massima esperta in funerali, opere misericordiose, messe riparatrici, offerte di miracoli stile padre Pio. Tutta l’attenzione si concentra, spasmodica, compiaciuta, sulla nostra inclinazione a piangere, a ricevere le stigmate da impersonali forze esterne, a ripartire da zero nella convinzione (falsamente umile, ancora una volta) che da zero comunque si ricomincia sempre. Come vi sentite lì all’addiaccio? avete voglia di ricostruire? forza di credere, sopportare? così fruga l’inviato tv, il microfono brandito come una croce davanti ai flagellanti, e le lacrime sono assai domandate. L’occhio della telecamera punta su ricostruzione e espiazione, più che sul crimine che viene trattato alla stregua di fatalità. Importante è vivere serenamente il disastro, più che evitarlo cercandone con rabbia le cause. Anche il politico agisce così: non lo interessa la stortura, ma l’anelito alla lacrima e alle esequie teletrasmesse. Simbolo del disastro riparato più che prevenuto, la Protezione Civile è oggi un immenso lazzaretto, un potere divoratore di soldi e non controllato.

Di fronte a tanta catastrofe viene in mente il grido di Rosaria Costa, la vedova di un agente di scorta morto con Giovanni Falcone a Capaci. La giovane prese la parola il giorno dei funerali di Stato, il 25 maggio 1992 nella chiesa di San Domenico a Palermo, e disse: «Mi rivolgo agli uomini della mafia, vi perdono ma voi vi dovete mettere in ginocchio, dovete avere il coraggio di cambiare». D'un tratto la voce si rompe e grida: «Ma voi non cambiate, io lo so che voi non cambiate». Nulla può cambiare se l’impunità continua. Se l’informazione non circola, non esce dai recinti di Internet, di Legambiente, delle associazioni volontarie antimafia. Se la gente non smette di ascoltare solo messe funebri. Mario Calabresi ha scritto ai lettori indignati di questo giornale, ieri, che il «grande sacco dell’Italia» è avvenuto e avviene perché esiste un terreno fertile a disposizione di mafie e criminalità: non c’è politica seria se al primo posto non sarà messo il ripristino della legalità. Legalità e parola libera sono il farmaco di cui c'è bisogno, Falcone ne era convinto quando diceva: «Chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa. Chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola». Per questo tutto si tiene: la manifestazione di ieri sulla stampa indipendente e l’indignazione per il disastro di Messina. 

La formula dell'insicurezza - L.Franzi

http://www.lastampa.it/2009/10/10/cultura/opinioni/l-editoriale-dei-lettori/la-formula-della-insicurezza-D2ml8Wob9waJsUrZL8T2AJ/pagina.html


L'editoriale dei lettori

La formula della insicurezza

Tra le cause preparatorie del disastro di Messina bisognerebbe mettere il «composto del P4». Non una reazione chimica, ma amministrativa

Nell’editoriale di Barbara Spinelli sulla Stampa del 4 ottobre scorso titolato «Il grande sacco d’Italia», manca, tra le cause indicate come preparatorie al recente disastro del Messinese, una causa che, sotto gli occhi degli amministratori, è all’origine di un disastro «legalizzato».

È il fattore che io chiamo, da amministratore, il «composto del P4»: progetto-pecunia-piani-promessa. Non ha nulla a che fare con alcuna reazione chimica, né ad alcuna associazione segreta. Se di composto si può parlare, è più amministrativo che altro, ma le similitudini con la chimica sono sorprendenti. Gli elementi che lo compongono si consolidano intorno a un nucleo centrale, rappresentato da un progetto (un centro commerciale, un’area industriale, un quartiere abitativo), sostenuto o sostenibile da un finanziamento, pubblico o privato, magari dalla CE o inserito in uno dei numerosi Programmi (un’altra P) che popolano la pubblica amministrazione.

Inutile dire che ne vengono valutate positivamente le ricadute sull’occupazione, sulla promozione del territorio, sull’economia ecc. La sicurezza è «uno» dei fattori discussi, ma la sua valenza è generalmente mitigata dalla incertezza del «dove» una frana potrà colpire, l’«orizzonte temporale» in cui potrà verificarsi, la quantificazione del possibile danno. Gli occupati, i guadagni, lo sviluppo sono sempre apparentemente certi.

Di fronte alla possibilità che effettivamente il fattore «sicurezza» possa mettere in discussione l’intero impalcato, il composto piano-progetto-pecunia diventa instabile. E al composto si aggiunge un elemento stabilizzatore, ovvero la Promessa, formulata da qualche architetto o avvocato che stabilizza gli animi (ma non la frana): si dispone di monitorare, si prescrivono gli accorgimenti strutturali che si renderanno necessari. Le coscienze sono tacitate e la deliberazione finale è scontata. Stabilizzata in modo perverso dal composto P4, la p.a. ritiene il progetto «opportuno». Salvo frana.

* ingegnere idraulico, Torino