venerdì 24 gennaio 2014

Non diteci che nessuno sapeva (Messina) - A.Tozzi

Non diteci che nessuno sapeva
di MARIO TOZZI (La Stampa, 3/10/2009)


E’ proprio un Paese bizzarro l’Italia, pensate che d’autunno piove - qualche volta a lungo -, i fiumi straripano e le tempeste mangiano le spiagge. E pensate che, se avete costruito nel letto di un fiume, ci sono buone probabilità che la vostra casa venga spazzata via per colpa delle alluvioni. Un fenomeno nuovo, si potrebbe pensare, mai segnalato finora, specialmente nel Mezzogiorno: chi potrebbe immaginare che intere colline d’argilla franino a mare portandosi con sé case e persone? Non serviva un geologo, bastava un archivista che avesse rovistato nei documenti comunali.

Per sancire come le frane siano un fenomeno comune, esattamente come le mareggiate, nel Messinese: le ultime quattro vittime nel 1998, appena a Nord della città. Ma in Italia avviene, in media, uno smottamento ogni 45 minuti e periscono, per frana, di media, sette persone al mese. Già questo è un dato poco compatibile con un Paese moderno, ma se si scende nel dettaglio si vede che, dal 1918 al 2009, si sono riscontrate addirittura oltre 15 mila gravi frane. E non solo frane, ma anche alluvioni (oltre 5 mila le gravi, sempre dal 1918), spesso intimamente connesse agli smottamenti. Questo nonostante oggi la protezione civile sia molto più efficiente di solo venti anni fa. Le frane sono un fenomeno naturale, ma non lo sono le migliaia di morti né le azioni dell’uomo che le innescano al di là delle condizioni naturali.

Tutto questo era ben noto fino dal tempo della commissione De Marchi, che fotografò, per la prima volta in modo organico (nel 1966), il dissesto idrogeologico del territorio italiano in otto volumi in cui si suggerivano anche alcuni interventi indispensabili e ritenuti urgenti fino da allora. Sono passati decenni e c’è ancora chi si stupisce oggi. Non solo: la situazione è stata aggravata dalla massa assurda delle nuove costruzioni, da centinaia di chilometri di strade, da disboscamenti insensati e dagli incendi mirati, dai condoni edilizi che espongono al rischio migliaia di cittadini che hanno scelto deliberatamente di delinquere. Ma come volevate che finissero quelle case, magari abusive, che strozzano i letti dei corsi d’acqua, come dovevano finire i viadotti troppo bassi, le strade e il cemento che hanno sclerotizzato il territorio?

Eppure - a differenza dei terremoti - le frane possono essere previste e i nomi sono già storia: Ancona (1982), il Monte Toc al Vajont (1963), la Valtellina (1987), Niscemi (1997), Sarno (1998), l’autostrada del Brennero (1998), Soverato (2002) e così via disastrando. Secondo il Cnr il totale del territorio a rischio di frane, o comunque vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, in Italia, è pari al 47,6%. Quasi il 15% del totale nazionale delle frane, e quasi il 7% delle inondazioni, avviene in Campania (1600 in 75 anni), dove 230 Comuni su 551 sono a rischio di smottamento. La superficie vulnerabile per frane e alluvioni è, in Campania, pari al 50,3% del territorio regionale.
Il Trentino sfiora l’86% - in vetta alla graduatoria -, le Marche arrivano all’85% e il Friuli è ben sopra il 50%: resta da chiedersi come mai però nel Mezzogiorno quel rischio potenziale si traduce più spesso che altrove in catastrofe, con Basilicata, Calabria e Sicilia che vanno comunque oltre il 60% del territorio a rischio. Ma la risposta la conosciamo già: l’incuria del territorio è qui diventata prassi quotidiana, perché gli amministratori preferiscono costruire un’opera pubblica, anche se inutile, purché si veda e porti consenso: chi si accorgerà invece di una manutenzione ordinaria, spesso invisibile, del territorio?

Per non parlare dell’incivile tolleranza all’abusivismo o dell’ignoranza di qualsiasi principio fisico che informi il territorio: che ne sanno gli amministratori che una frana è uno spettacolare esempio di un fenomeno geologico del tutto naturale, che porta al trasferimento di materiale dall’alto in basso grazie alla forza di gravità? E che le cause generali delle frane sono molte, ma, in tutto il mondo, l’intervento dell’uomo gioca un ruolo fondamentale? Fra qualche giorno nessuno ricorderà i morti di Messina e si continuerà a inseguire il sogno di un ponte inutile che renderà ineluttabile il dissesto idrogeologico, quando non vedrà compromessa addirittura la stabilità complessiva di un intero settore della penisola. Stornando risorse che dovrebbero essere spese per salvare vite e non per inseguire follie faraoniche.

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