Non diteci che nessuno sapeva
di MARIO TOZZI (La Stampa, 3/10/2009)
E’ proprio un Paese bizzarro l’Italia, pensate che
d’autunno piove - qualche volta a lungo -, i fiumi straripano e le
tempeste mangiano le spiagge. E pensate che, se avete costruito nel
letto di un fiume, ci sono buone probabilità che la vostra casa venga
spazzata via per colpa delle alluvioni. Un fenomeno nuovo, si potrebbe
pensare, mai segnalato finora, specialmente nel Mezzogiorno: chi
potrebbe immaginare che intere colline d’argilla franino a mare
portandosi con sé case e persone? Non serviva un geologo, bastava un
archivista che avesse rovistato nei documenti comunali.
Per sancire come le frane siano un fenomeno comune,
esattamente come le mareggiate, nel Messinese: le ultime quattro vittime
nel 1998, appena a Nord della città. Ma in Italia avviene, in media,
uno smottamento ogni 45 minuti e periscono, per frana, di media, sette
persone al mese. Già questo è un dato poco compatibile con un Paese
moderno, ma se si scende nel dettaglio si vede che, dal 1918 al 2009, si
sono riscontrate addirittura oltre 15 mila gravi frane. E non solo
frane, ma anche alluvioni (oltre 5 mila le gravi, sempre dal 1918),
spesso intimamente connesse agli smottamenti. Questo nonostante oggi la
protezione civile sia molto più efficiente di solo venti anni fa. Le
frane sono un fenomeno naturale, ma non lo sono le migliaia di morti né
le azioni dell’uomo che le innescano al di là delle condizioni naturali.
Tutto questo era ben noto fino dal tempo della
commissione De Marchi, che fotografò, per la prima volta in modo
organico (nel 1966), il dissesto idrogeologico del territorio italiano
in otto volumi in cui si suggerivano anche alcuni interventi
indispensabili e ritenuti urgenti fino da allora. Sono passati decenni e
c’è ancora chi si stupisce oggi. Non solo: la situazione è stata
aggravata dalla massa assurda delle nuove costruzioni, da centinaia di
chilometri di strade, da disboscamenti insensati e dagli incendi mirati,
dai condoni edilizi che espongono al rischio migliaia di cittadini che
hanno scelto deliberatamente di delinquere. Ma come volevate che
finissero quelle case, magari abusive, che strozzano i letti dei corsi
d’acqua, come dovevano finire i viadotti troppo bassi, le strade e il
cemento che hanno sclerotizzato il territorio?
Eppure - a differenza dei terremoti - le frane possono
essere previste e i nomi sono già storia: Ancona (1982), il Monte Toc al
Vajont (1963), la Valtellina (1987), Niscemi (1997), Sarno (1998),
l’autostrada del Brennero (1998), Soverato (2002) e così via
disastrando. Secondo il Cnr il totale del territorio a rischio di frane,
o comunque vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, in Italia, è
pari al 47,6%. Quasi il 15% del totale nazionale delle frane, e quasi il
7% delle inondazioni, avviene in Campania (1600 in 75 anni), dove 230
Comuni su 551 sono a rischio di smottamento. La superficie vulnerabile
per frane e alluvioni è, in Campania, pari al 50,3% del territorio
regionale.
Il Trentino sfiora l’86% - in vetta alla graduatoria -,
le Marche arrivano all’85% e il Friuli è ben sopra il 50%: resta da
chiedersi come mai però nel Mezzogiorno quel rischio potenziale si
traduce più spesso che altrove in catastrofe, con Basilicata, Calabria e
Sicilia che vanno comunque oltre il 60% del territorio a rischio. Ma la
risposta la conosciamo già: l’incuria del territorio è qui diventata
prassi quotidiana, perché gli amministratori preferiscono costruire
un’opera pubblica, anche se inutile, purché si veda e porti consenso:
chi si accorgerà invece di una manutenzione ordinaria, spesso
invisibile, del territorio?
Per non parlare dell’incivile tolleranza all’abusivismo o
dell’ignoranza di qualsiasi principio fisico che informi il territorio:
che ne sanno gli amministratori che una frana è uno spettacolare
esempio di un fenomeno geologico del tutto naturale, che porta al
trasferimento di materiale dall’alto in basso grazie alla forza di
gravità? E che le cause generali delle frane sono molte, ma, in tutto il
mondo, l’intervento dell’uomo gioca un ruolo fondamentale? Fra qualche
giorno nessuno ricorderà i morti di Messina e si continuerà a inseguire
il sogno di un ponte inutile che renderà ineluttabile il dissesto
idrogeologico, quando non vedrà compromessa addirittura la stabilità
complessiva di un intero settore della penisola. Stornando risorse che
dovrebbero essere spese per salvare vite e non per inseguire follie
faraoniche.
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